In occasione della Giornata Mondiale della biodiversità vi porto a scoprire la vegetazione delle Alpi, un mondo vastissimo fatto di arbusti, piante e fiori che, nel corso dei secoli, hanno dovuto sviluppare tratti distintivi per potersi adattare al meglio al clima delle alte terre: resistenza al freddo, alla siccità e agli sbalzi termici.
Siete pronti ad immergervi con me in questo tour virtuale sulle Alpi? Ebbene, continuate a leggere!
Indice
La vegetazione delle alpi: le vette
Gli ambienti d’alta quota sulle Alpi (sopra i 3000 mt di altitudine) sono caratterizzati da condizioni climatiche molto severe: la temperatura infatti può calare fino ad 1°C ogni 100 mt di quota e la media annuale è inferiore a 0°C; vi sono ampie escursioni termiche giornaliere perché il calore accumulato durante il giorno per il forte irraggiamento solare si disperde rapidamente di notte, non trattenuto dal terreno roccioso.
Le radiazioni ultraviolette sono intense, non essendo lo strato d’aria sovrastante le vette sufficientemente spesso per assorbirle. Le precipitazioni sono abbondanti e aumentano con la quota ma, per le basse temperature, l’acqua allo stato liquido è rara e il suolo e l’aria sono aridi.
La vegetazione di questi “freddi deserti” può essere distinta in tre grandi categorie: la vegetazione nivale, la vegetazione delle rupi e dei detriti e le praterie alpine.
La vegetazione nivale è chiamata anche crioplancton ed è l’insieme delle specie vegetali che vivono sulle nevi o sui ghiacciai perenni. Un esempio tipico? La Clamydomonas Nivalis: un’alga che provoca il cosiddetto fenomeno della neve rossa.
La colorazione porpora della neve può sembrare una favola, ma porta con sé delle importanti conseguenze.
Il colore rosso della neve, infatti, influisce sull’Albedo, ovvero la capacità di neve o ghiaccio di riflettere la luce solare. La mancata riflessione della luce porta la neve ad assorbire maggiormente i raggi solari ed il loro calore, provocando uno scioglimento precoce della stessa.
Scendendo di quota troviamo la vegetazione che ricopre rupi e ghiaioni, costituita da piante che sarebbero incapaci di vivere altrove; la loro eccezionale resistenza alle avversità, infatti, conferisce loro delle caratteristiche che non gli permetterebbero di crescere in ambienti “più facili”: sarebbero soffocate da piante abituate a zone di maggior comfort!
Le specie vegetali che abitano queste zone di montagna sono caratterizzate da un fusto ridotto e radici molto estese sia per evitare di essere abbattute dal vento che per potersi radicare tra le spaccature nelle rocce.
Le foglie di queste piante sono carnose (tipo pianta grassa) e spesso coperte da peluria, per sopperire alla siccità.
Un esempio di queste piante è il Raperonzolo di Roccia o Physoplexis Comosa, una specie endemica delle Alpi Orientali: cresce in fessure umide nella roccia, con una radice molto lunga e ben ancorata nel terreno!
Alle quote più basse di questa zona troviamo infine la prateria alpina, costituita principalmente da graminacee e ciperacee.
La vegetazione delle Alpi: la boscaglia alpina
Con il termine di boscaglia alpina si intende quella vegetazione che si estende dalle praterie al limite superiore dei boschi di conifere (2000 – 3000 m) e formata principalmente da arbusti.
Il portamento arbustivo è caratteristica distintiva della vegetazione a questa quota.
Da una parte infatti permette alla pianta di sopportare al meglio il peso della neve che, a queste quote, è presente per diversi mesi all’anno; dall’altra, nei pochi mesi di sole e caldo che le vengono concessi durante l’anno, la pianta preferisce spendere le sue energie per riprodursi piuttosto che per espandersi; così al posto che “produrre il legno”” necessario a creare il tronco, preferisce generare fiori (e quindi frutti e semi) necessari alla riproduzione.
Nella boscaglia alpina possiamo trovare elementi vegetali differenti a seconda del tipo di suolo, dell’umidità e della esposizione alla luce solare. I principali tipi di boscaglia sono quelli formati dal pino mugo, dall’ontano verde e dal bellissimo rododendro.
Questa simpatica pianta arbustiva dai fiori di colore rosa intenso è un amante del freddo ma non del gelo! Occupa prevalentemente i versanti Nord delle montagne dove è più persistente la presenza della neve che protegge e ripara i germogli dalle eventuali gelate.
Si possono distinguere due grandi specie di rododendro: quello Comune (Rhododendrum ferrugineum), dalle caratteristiche foglie rossastre, cresce prevalentemente su terreni ricchi di silicio, mentre il cugino Rododendro peloso (Rhododendrum hirsutum) predilige i terreni calcarei. Sapete perché questa pianta porta un nome così buffo? Perché le foglie, alle estremità, sono ricoperte da una sottile peluria bianca.
Un particolare tipo di boscaglia alpina è la Brughiera, così chiamata per l’abbondante presenza del Brugo (Calluna Vulgaris) e della sua parente stretta l‘Erica herbacea, con cui spesso viene confuso.
La vegetazione delle Alpi: i boschi di conifere
Con il nome di conifere si intendono tutte quelle specie vegetali che sono portatori di coni, un altro termine con cui generalmente si indicano le pigne. Fanno parte di questa classe numerose tipologie di alberi ed arbusti tra cui i più importanti sono il larice, il pino cembro, l’abete bianco e l’abete rosso.
Caratteristiche principali delle conifere sono le foglie lunghe e sottili (aghi), la lunga persistenza di queste sui rami e la produzione di resina.
Gli aghi possono arrivare fino anche a 12 cm di lunghezza, sono estremamente flessibili ma altrettanto robusti e permettono alla pianta di limitare al massimo l’accumulo di neve e di piegarsi senza rompersi sotto il peso della stessa.
Le piante di conifere, ad eccezione del larice, sono sempreverdi, ovvero non perdono mai le foglie; questo, unitamente alla produzione di resina, limita l’evaporazione dell’acqua e protegge la pianta dal gelo e dall’aridità. Essere sempreverdi, inoltre, garantisce alle piante di poter sfruttare ogni singolo raggio di sole d’inverno per la fotosintesi clorofilliana e permette loro di risparmiare grande energia nel dover far nascere le nuove foglie a primavera.
La fascia di vegetazione delle conifere non presenta limiti netti: alle quote inferiori queste piante si mescolano alle latifoglie, mentre a quote più elevate diradano e sono sostituite dagli arbusti della boscaglia alpina. Tra le conifere alpine si osserva spesso una successione altitudinale: scendendo un monte si incontrano prima il larice ed il pino cembro, poi l’abete rosso e l’abete bianco.
COME DISTINGUERE UN PINO DA UN ABETE
Il metodo più semplice per distinguere un pino da un abete è guardare la disposizione e la forma degli aghi.
Negli abeti gli aghi sono più corti e disposti singolarmente lungo il ramo. Nell’abete rosso, in particolare, gli aghi girano a 360° intorno al ramo e sono di un bel colore verde brillante mentre nell’abete bianco sono disposti in piano e presentano due striature bianche sul retro.
D’altra parte, nel pino gli aghi sono lunghi e disposti a ciuffetti di due o più unità. Sulle Alpi le specie più diffuse sono il pino cembro ed il pino silvestre: nel primo gli aghi sono raccolti a ciuffetti di 5, nel second invece sono disposti a coppie. Distinuguere invece il pino silvestre da altre speci come il pino mugo o il pino nero è più complesso e bisogna anche valutare il colore del tronco, la forma dell’albero e la lunghezza degli aghi.
Un altro modo invece per distinguere il pino dall’abete è osservare le pigne: nell’abete hanno una forma più allungata e, una volta mature, si aprono in scaglie “morbide”. Nel pino invece la pigna è più rotonda e molto dura, anche una volta aperta.
NON DIMENTICHIAMOCI DEL LARICE, IL CUGINO FURBO
Il larice è il più furbo di tutte le conifere; in inverno infatti si spoglia completamente dei suoi aghi, dopo essersi dipinto in autunno di un bel colore che va dal giallo paglierino al giallo dorato. Non a caso infatti il suo nome latino è “Larix decidua”, cioè “caduco”.
L’ assenza degli aghi durante l’invero consente alla pianta di creare un accumulo ancora minore di neve sui rami, ancor più di quanto già facciano pino e abete. I rami del larice sono infatti sottili ed elastici e mal sopporterebbero pesi eccessivi (che poi avete mai visto un larice dopo una recente nevicata? Guardate bene quanta neve è in grado di sopportare!)
La mancanza degli aghi permette anche di ridurre a zero la richiesta di acqua dal terreno, contrariamente a quanto succede per pini ed abeti e questo gioca a suo favore, considerando che a certe quote, in inverno, l’acqua nel suolo è spesso ghiacciata, e quindi indisponibile per i vegetali.
Tutte queste strategie hanno permesso al larice di potersi adattare ad altitudini anche molto elevate: lo troviamo infatti presente fino ad oltre i 2500 m quando invece la maggior parte delle conifere se ferma poco sopra i 2000 m.
In estate il larice è facilmente distinguibile dai suoi cugini pino e abete: presenta degli aghi molto morbidi, di un colore verde chiaro e raccolti a ciuffetti lungo i rami. I rami sono molto flessibili e formano delle fronde un po’ cadenti, mentre le pigne sono tenere, piccole e ovali, di un colore marroncino chiaro.
Si capisce che il larice è la mia conifera preferita?
La vegetazione delle Alpi: le Faggete
In media, attorno ai 1000 m di quota, nelle Alpi, il clima è caratterizzato da condizioni di elevata umidità atmosferica con piogge e nebbia frequenti anche durante la stagione estiva. La temperatura è tendenzialmente bassa, tanto che la media di luglio supera difficilmente i 23°C.
Sono queste le condizioni ottimali per lo svilupparsi del bosco di faggio (faggeta) che, alle medie quote, occupa ampie etstensioni di territorio sulle Alpi.
Il Faggio (Fagus sylvatica) è un albero che può facilmente raggiungere i 30-40 m di altezza, con tronchi giganteschi di un colore grigio lucente, radici abbastanza superficiali, chiome folte con foglie verdi di forma ovale. In autunno si veste di giallo e di arancione, prima di perdere completamente le foglie che si rivestono a terra formando un folto tappeto colorato.
Le fitte chiome dei faggi tendono a ridurre la quantità di luce solare che riesce ad arrivare al suolo: le faggete sono quindi molto buie al loro interno e sviluppano un sottobosco povero, composto di poche piante erbacee che emergono sparsamente dal fogliame della lettiera o poche piante arbustive. Più numerosi sono i muschi, i licheni ed i funghi, grazie all’alta umidità atmosferica e all’abbondanza di sostanze nutrienti nel suolo.
La pianta stessa ha esigenze di luce molto modeste ed è quindi capace di germogliare e svilupparsi anche sotto una densa copertura forestale, portando alla formazione di boschi molto estesi.
Perché è importante la tutela della Biodiversità
Ebbene, ci avevate mai fatto caso di quante specie viventi incontrate quando camminate in montagna?
Ora spero che possiate avere qualche strumento in più per capire e ammirare la natura che vi circonda.
E ricordate: l’ecosistema che voi oggi osservate è frutto di milioni e milioni di anni di adattamenti e modifiche. C’era sicuramente prima che noi esistessimo ma quanto durerà ancora non è dato sapersi.
É noto che negli ultimi anni i cambiamenti climatici, la degradazione (naturale o artificiale) del territorio, la frammentazione degli habitat, l’inquinamento, l’introduzione di specie alloctone (cioè estranee al territorio) hanno portato ad un livello sempre maggiore di perdita della biodiversità.
Tutelare la biodiversità significa tutelare in primis anche noi: ciascuna specie vivente, non importa se piccola o grande, svolge un ruolo specifico nell’ecosistema in cui vive e proprio in virtù del suo ruolo aiuta l’ecosistema a mantenere i suoi equilibri. Equilibri grazie ai quali anche noi, esseri umani, possiamo sopravvivere.
Se siete interessati ad approfondire l’argomento vi rimando al sito dell’Ispra (lo trovate proprio qui): troverete informazioni interessanti e spunti di riflessione, oltre che consigli su ciò che ciascuno di noi può fare per tutelare la biodiversità.
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